Influencer marketing e big data: si può fare! La selezione dell’influencer giusto da coinvolgere in un ‘attività è un momento cruciale da cui può dipendere gran parte della nostra campagna. Il supporto di dati e insight è per questo determinante, spingendoci nella giusta direzione.

Un approccio, quello data driven, che fatica però a trovare assoluto consenso, necessitando di strumenti ed expertise che spesso brand e agenzie non hanno. Non a caso l’outreach degli influencer si basa per lo più su conoscenza personale, visibilità, trend del momento, evitando una qualsivoglia fase di analisi. Un modo meno dispendioso, ma che ci costringe ad affidarci al caso (ed il caso a gente come me piace molto poco).

Ne abbiamo giusto parlato insieme al bravo Federico Oliveri in un webinar targato Digimind.

Influencer marketing: occhio ai dati

Appoggiarsi ai dati significa comprendere su basi concrete gli elementi principali che caratterizzano l’attività dell’influencer e il suo impatto su uno specifico network. Perché solo così è davvero possibile comprendere la posizione ed il conseguente impatto che ha la comunicazione della figura analizzata. Un elemento non da poco, che segnerà nettamente l’andamento della nostra campagna.

Un esempio? Se la maggior parte dei suoi follower è tra i 15-25 anni, la figura non sarà adatta ad un brand che ha un target d’età diverso, magari 30-40 anni. Inoltre, se la sua capacità di engagement sui canali social è bassa, potrà avere anche un’audience vastissima ma non innescherà coinvolgimento e viralità. Solo i dati posso rispondere (e risolvere) questi dubbi.

Reputation e andamento dei canali social e web delle figure da selezionare sono quindi la base da cui partire. Non vorremmo mai farci rappresentare da qualcuno con qualche scheletro nell’armadio, vero? Il sentiment negativo dell’influencer rischierebbe di ricadere anche sul brand. Un rischio grave che è sempre meglio evitare. Provate ad immaginare: iniziamo a collaborare con un blogger e poco dopo escono fuori alcune sue dichiarazioni “borderline”. Problemi, solo problemi.

L’andamento dei suoi canali social ci aiuta a capire quale impatto potrà avere l’attività che realizzeremo in sinergia.  Non bastano infatti fama e visibilità, serve anche la capacità di spingere, nella giusta maniera, il messaggio.

Influencer marketing: sono gli obiettivi a comandare

Non mi stancherò mai di dirlo: ogni attività deve sempre e comunque partire dalle necessità del brand e capire a quali obiettivi dobbiamo dare risposta. Awareness, lead generation, SEO, finalità diverse che necessitano di attività altrettanto diverse tra loro, ma soprattutto di individui con caratteristiche particolari.

A seconda dell’obiettivo ci saranno insight differenti da valutare, che varieranno anche a livello di peso. La domain authority del blog di un influencer, ad esempio, è sempre da tenere sott’occhio, ma diventerà vitale se desideriamo migliorare la SEO. Invece, se desideriamo lanciare un nuovo prodotto, sarà l’audience il KPI più rilevante.

Dati quantitativi, ma anche qualitativi

L’elemento quantitativo resta essenziale per molti dei dati fin qui visti, ma spesso non basta. L’influencer marketing è fortemente relazionale e come per ogni attività in cui il fattore umano è essenziale non possiamo non considerare la qualità.

I contenuti co-prodotti sono qualitativi? Rispettano il tone of voice e l’immagine del brand? Sono coerenti alla value proposition? Tutti aspetti da tenere di conto e che spostano l’attenzione sulla qualità.

Qualità che in molti casi fa rima con affinità, quella che non può mancare tra il brand e l’influencer scelto. L’aderenza di stile, vedute, approccio è qualcosa non sempre considerato, ma che fa la differenza nella percezione degli utenti. Una distanza troppo forte può solamente portare distonie e quindi pessimi risultati.

Come dico sempre “non si vive di soli follower”.