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Scritto ascoltando: Street Light Manfesto – The Three of Us

Nella scorsa settimana, Brian Solis, uno dei primi e più importanti professionisti nel campo, ha pubblicato una dettagliata analisi sullo stato dell’arte dell’influencer marketing. Realizzata in collaborazione con Altimeter e Tapinfluence (noto tool USA per l’individuazione e la gestione degli influencer) sulla base d’interviste a 1.700 influencer e 100 marketer, lo studio regala alcuni punti davvero interessanti, capaci di delineare perfettamente i principali trend del fenomeno.

Per la descrizione completa del documento vi rimando all’ottimo post di Pier Luca Santoro su Data Media Hub), io preferisco darvi il mio punto di vista sui punti che, a mio avviso, risultano più interessanti.

LA MIGLIORE FORMA D’INFLUENZA: IL GUADAGNO

Personal branding, mostrare competenze, posizionarsi, affinità verso brand e progetti… tutte mezze verità. La prima e più rilevante motivazione che spinge gli influencer a collaborare con le aziende resta il guadagno. Il 72% degli influencer evidenziano che un compenso inadeguato è la prima discriminante per accettare una partnership.

Sia chiaro, il lavoro va pagato e quindi è giusto che eventuali attività vengano retribuite. Detto ciò assistiamo nell’ultimo periodo ad una massima “mercificazione” che avvicina quella che dovrebbe nascere come collaborazione ad un acquisto di servizi.

Lato brand è importante che si capisca che il periodo del gratis e del pagamento tramite “visibilità” non è più considerata come una soluzione accettabile per gli influencer. Come in ogni ambito i progetti seri necessitano di budget (veri).

VANITY METRCIS: SI FA RESTO A DIRE ROI

Tanto rumore (spesso) per nulla. Ad ogni incontro per far partire progetti d’influencer marketing c’è sempre e solo un mantra: il ritorno dell’investimento. Giusto, giustissimo. Come dico sempre senza una misurazione dei risultati non è marketing, ma qualcosa che semplicemente gli assomiglia.

Tanta attenzione al ROI sì, ma secondo lo studio i parametri più rilevanti per il brand restano le care e vecchie vanity metrics (commenti, like, ecc). Un punto cruciale che si riflette anche nella fase di scelta: maggior spazio al numero di follower che a knowhow o affinità.

Per gli influencer il dato primario è invece le visite al proprio blog, lo strumento essenziale per ottenere visibilità e incrementare il personal branding.

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AMBASSADOR, PROMOSSI (CON RISERVA)

Che far diventare un influencer riconosciuto parte stessa dell’azienda sia una scelta vincente è una verità ormai assodata. Competenza, credibilità, autorevolezza: qualità rilevanti che sono così demandate anche al brand, con un vantaggio in termini di comunicazione davvero notevole.

Anche il Manifesto conferma la bontà dell’ambassadorship, tanto che il 71% degli intervistati la vede come la migliore forma possibile di collaborazione con un influencer. Peccato che a questa certezza non corrisponda poi la realtà. I progetti con ambassador continuano ad essere una minoranza.

Molto più comodo (ma infruttuoso) continuare con il classico invio prodotto per recensione. Finirà mai questa prassi poco redditizia?!? La speranza è l’ultima a morire.

LE DIFFICOLTÀ DELLA SELEZIONE

L’attività d’individuazione e selezione della giusta figura da coinvolgere è e resterà, a mio avviso, il punto cruciale dell’influencer marketing lato brand. Mancanza di sensibilità, esperienza, spesso troppa attenzione al mero dato quantitativo: le ragioni sono molteplici e portano tutte ad una palese difficoltà. Una problematica che si avverte forte anche nei risultati della ricerca, con un 68% che palesa questa come la principale e più complessa sfida.

Una situazione che per migliorare necessità di un approccio diverso, di una maggiore attenzione alla progettualità e all’obiettivo che vogliamo raggiungere. Ma non solo. Un’attenta analisi e una listening sono fondamentali per capire il contesto e, con esso, gli influencer rilevanti.

A questa si aggiunge la competenza e l’esperienza del team di lavoro. Creare un progetto di influencer marketing non è mai una banalità, fidatevi. Avere il giusto supporto può fare la differenza.

Ultima la volontà di cercare figure affini, utili, che possano grazie alle loro qualità produrre contenuti qualitativi. Non mi stancherò mai di ripeterlo: non fermiamoci ai follower. Quel poco che ci tornerà nei primi giorni si scioglierà come neve al sole, lasciandoci con un pugno di like.