Driver (o meglio mediatori) culturali per raccontare, in modo oggettivo e credibile, il brand. Questo dovrebbero essere gli influencer quando collaborano e vengono coinvolti dalle aziende. Mediatori culturali sì, perché in grado di semplificare i brand values, rendendoli comprensibili a livello di comunicazione per gli utenti. Un racconto mai fine a sé stesso e che diventa veritiero anche e soprattutto grazie al trust derivante dalla reputazione e dal posizionamento che gli influencer hanno costruito negli anni.

Dovrebbe… Siamo ormai talmente abituati a un certo tipo di post sponsorizzati su Instagram da parte degli influencer da aver probabilmente perso di vista questi elementi. Mancanza di competenza, facilità, fretta o la cieca voglia di seguire il trend dell’influencer marketing hanno fatto il resto, trasformando questi opinion leader in semplici vetrine, spesso spogliate di gran parte delle loro qualità più rilevanti.

Ma non tutto è perso. Non mancano esempi illuminanti, anche a casa nostra. Le esibizioni di Sanremo di Achille Lauro e i suoi look firmati Gucci ne sono perfetto esempio.

L’hacking del Festival

Le esibizioni di Achille Lauro sono state studiate a tavolino in un climax di racconto ascendente e connesso, spettacolo nello spettacolo. Un vero hacking come ha ben detto Paolo Iabichino, che ha portato Gucci, che ha realizzato tutti gli outfit, a “essere il terzo sponsor senza passare dai listini Rai“.

Ma a pensare a un semplice e più evoluto product placement si commetterebbe un grave errore. Quella di Lauro e Gucci è un’operazione culturale/editoriale, uno storytelling nel senso (finalmente) più vero ed essenziale del termine. Lo showman che non è semplice modello, ma un comunicatore che con forme eterogenee diventa portatore con la sua performance non tanto di un prodotto o di un marchio, ma dei valori dello stesso, mettendone a nudo l’essenza, il DNA, il purpose. Basti pensare ai messaggi legati a diversity, gender neutrality e fluidità di genere che diventa, attraverso Lauro, anche una presa di posizione da parte del marchio.

Una musa, che ispira, che è allo stesso tempo espressione del marchio in un continuo richiamo non solo di musica o moda, ma anche di arte, storia, cultura.

Dal palcoscenico dell’Ariston alla passerella, passando per i social

Un progetto strutturato e strategico che ovviamente non poteva fermarsi al Festival, ma che è continuato (ovviamente) sui canali social di Lauro e di Gucci stesso, testimoniando e “decifrando” l’operazione, dando però così ancor più risalto alla collaborazione e, finalmente, anche al prodotto (persino la parte beauty per il trucco).

I social usati non solo quindi come amplificatore del progetto, ma soprattutto come “legenda” per far comprendere e contestualizzare lo stesso. Il digitale che diventa mezzo per dare concretezza all’offline, in un ribaltamento dei ruoli che qui trova però pieno senso (e valore).

E le performance, che comunque contano, raccontano di un impatto impressionante dei contenuti relativi pubblicati sul profilo di Achille Lauro:

  • + 4.231.000 di like
  • + 87.515 commenti
  • + 400.000 follower guadagnati

Numeri che si traducono in un punto chiave: Lauro e il progetto Sanremo sono stati un vero driver conversazionale, nel bene e nel male, spingendo post, commenti, tweet, Stories. Commenti che pesano ancor di più visto che in molti casi sono stati fatti da altri influencer, in un circolo che ha aumentato istante dopo istante la visibilità e l’impatto del duo Lauro/Gucci.

A confermare il tutto anche l’analisi del Festival realizzata da Franz Russo in collaborazione con Talkwalker che ha evidenziato come Lauro sia stato il personaggio del Festival più discusso online con quasi 240mila menzioni, staccando in modo netto gli altri.

Ma che il progetto sia molto più lungimirante e a lungo termine degli standard a cui siamo abituati lo conferma la presenza come modello di Achille Lauro alla recente sfilata Gucci alla Milano fashion Week. Una presenza che grazie all’hype delle scorse settimane lo ha reso il personaggio più atteso, caricando di ancora più attenzione l’evento e spingendo, in un circolo senza fine, una lunga serie di contenuti social.

L’evoluzione dell’influencer marketing?

Un nuovo livello, o almeno approccio, delle campagne che vedono coinvolti gli influencer e che non potrà non fare scuola. Certo non per tutti. Non solo per una mera questione di budget, ma anche e soprattutto di visione, coraggio, libertà comunicativa. Innegabile che questa non può essere un’operazione replicabile totalmente da qualsiasi tipologia di azienda, ma può essere un modello da provare ad applicare (anche con minor profondità) per uscire dal pantano delle collaborazioni odierne.

Ma cosa rende questa campagna un vero caso di studio? Vediamo insieme gli elementi più caratterizzanti:

  • L’influencer va oltre il testimonial (finalmente): sì, Lauro va ben oltre mettendoci molto di più della sua immagine. Diventa un medium che media e arricchisce il dialogo tra brand e utenti, dandogli una connotazione più forte e d’impatto.
  • Il concept che fa diventare il progetto una campagna di comunicazione: sono ancora pochi i progetti d’influencer marketing connessi, che cercano grazie a un’idea creativa di dare un senso di completezza e omogeneità e non di una frammentazione, più semplice da gestire, ma meno performante. La ricchezza delle performance, dei richiami, la perfetta connessione prodotto/brand/influencer, l’approccio multipiattaforma sono elementi che fanno emergere una vera campagna di comunicazione e, con lei, un messaggio capace di fare la differenza.
  • Win/win/win: un progetto, quello Lauro/Gucci, che ci ricorda una delle basi dell’influencer marketing, il saper creare valore condiviso per tutte le realtà in campo. E così è in questo caso perché il brand trova impatto di comunicazione, l’influencer un supporto per dare di più ai propri follower, i fan un intrattenimento di assoluta qualità. Sembrerà banale, ma questa formula permette un coinvolgimento di tutte le realtà a un livello superiore.
  • Uno storytelling reale e non fine a se stesso: è facile parlare di quanto sia utile comunicare sfruttando il potere comunicativo delle storie, lo è molto meno farlo bene, senza compromessi o scorciatoie. Qui Gucci lo fa benissimo, sfruttando un “mezzo” d’eccezione come Achille Lauro per raccontarsi realmente, dando così forma alla sua essenza più vera fatta di arte, storia, cultura e italianità. Ma anche una contemporaneità che fa rima con purpose e che gli fa prendere posizione scomode, grazie alla mediazione di Lauro, in modo molto più forte e credibile. Senza lui lo stesso show non sarebbe replicabile o, se anche lo fosse, sembrerebbe una commedia (di serie B).

Vedremo nei prossimi mesi se altri brand prenderanno l’esempio di Lauro e Gucci, certi che non sarà senza dubbio facile farlo al meglio. Unire cultura, valori e marketing non è cosa da tutti.