Sarà il suo essere di moda, il suo essere trend indispensabile o semplicemente la mancanza di esperienza dei più, ma una cosa è chiara: l’influencer marketing per i marketer è uno strumento che funziona. Un’affermazione non sempre supportata dai fatti (e dai conseguenti dati), ma che è netta e chiara secondo molti dei più importanti report sul tema.

Ma è davvero così? Me lo sono più volte chiesto e in questo post cercherò di darvi una risposta.

Influencer marketing: cosa pensano i marketer

Basta analizzare le ricerche più importanti sul topic influencer marketing per avere una certezza: per i marketer e gli esperti l’influencer marketing funziona davvero. Stando al report di Launchmetrics l’88% degli intervistati si dice soddisfatta dei risultati ottenuti con campagne che vedevano coinvolti influencer e simili.

influencer marketing report

Un dato che trova conferma anche in altre indagini simili. Anche nel sondaggio che sto portando avanti per Influencer Marketing Italia, il 71,43% degli intervistati si dichiara da soddisfatto a molto soddisfatto. Un risultato non ancora conclusivo, ma che certamente fa già comprendere il trend (a proposito, potete partecipare al sondaggio cliccando qui).

Ma è davvero così?

Tra product placement e campagne evanescenti

C’è però un evidente distonia tra questi dati e molte delle campagne che inondano il web, Instagram in particolare. Celebrities (o pseudo tali) che con pose ammiccanti mostrano prodotti o simili. Certo, a guardare le interazioni è facile darne una valutazione positiva, ma basta addentrarsi maggiormente in profondità per accorgersi che non tutto ciò che brilla è oro come sembra,

Prendiamo ad esempio un post di Simona Salvemini, vip con un’esperienza in una passata edizione del Grande Fratello. Un personaggio con molto seguito e che realizza numerose campagne come si può evincere dal suo profilo Instagram

Analizzando il post che vi riporto qui, realizzato in collaborazione con un noto brand impegnato nelle campagne con gli influencer si evince già molto.

 

 

Visualizza questo post su Instagram

 

In questi giorni devo cercare di evitare la bilancia! Ho però provato da pochi giorni i nuovissimi prodotti @fitvia.it alla Vaniglia. Lo Slim Shake è un sostitutivo di pasto innovativo perchè davvero leggero e oltre ad essere buono e rapidissimo da preparare (2 cucchiaini in latte o acqua), accelera anche il metabolismo aiutando a bruciare i grassi preservando la massa magra! Ho anche provato il nuovissimo Vanilla Slim Tea! Lo adoro! Contiene, come le caps, la Garcinia Cambogia quindi limita l’assorbimento degli zuccheri aiutandoci a tornare e rimanere in forma! Abbinamento consigliato se volete perdere un paio di chili senza sforzi. Codice SIMONA10 su www.fitvia.it #detox #fitvia #ad

Un post condiviso da Simona Salvemini (@simonasalvemini) in data:

Le interazioni sono considerevoli (3.169 like e 43 commenti), un risultato non male se ci fermassimo, come fanno troppi brand e agenzie, qui. È solo analizzando queste interazioni che possiamo realmente comprendere l’impatto che questo post ha avuto a favore del prodotto. Bene, solo un commento cita il prodotto, mettendolo però a confronto con un competitor. Una domanda che, tra l’altro, non trova risposta da parte dell’influencer facendo perdere quella, seppur minima, possibilità d’ingaggio.

Gli altri commenti sono invece tutti incentrati sull’aspetto fisico e il look dell’influencer, molti dei quali hanno un tono molto sessista e quindi possono danneggiare la reputazione del brand coinvolto.

Nessun dialogo, nessuna relazione. L’influencer diventa qui una vetrina vuota che non porta valore reale all’azienda, nonostante l’investimento che, stando ai prezzi odierni, non è certo bassissimo.

Non solo. Analizzando il profilo della Salvemini si notano addirittura numerosi post su un brand competitor, altro elemento di forte danno per il brand coinvolto nel post analizzato.

influencer marketing

Ha quindi significato una campagna di questo tipo? Non avendo i dati di vendita non possiamo dare una risposta definitiva, ma è facile pensare che le performance ed il ROI siano molto poco aderenti alle aspettative.

Non è lo strumento ma come lo si usa

Sia chiaro ciò non significa che l’influencer marketing non possa essere vantaggioso per le aziende, ma che lo è solo quando si realizzano campagne fatte con i giusti presupposti ed elementi. L’importanza del concept (non si vive di solo product placement), la selezione data driven degli influencer e il lavoro in sinergia tra brand e influencer sono solo alcuni di punti su cui concentrarsi per far la differenza.

Un buon esempio in tal senso è il caso studio del #sanoebuonochallenge, una sfida brandizzata per diffondere una cultura del benessere fondata sull’alimentazione e dare concretezza alla campagna puntando sulla corporate social responsibility.

20 blogger e influencer del web italiano coinvolti si sono impegnati per una settimana cercando di migliorare il proprio stile di vita. Per ogni sfida accettata il brand ha fatto una donazione a Dynamo Camp.

Una campagna che si fonda sui valori del brand prima ancora che sul prodotto e che si pone un obiettivo in cui la credibilità degli influencer trova forte appiglio: incrementare la reputation e avere un chiaro posizionamento.

Un progetto dal forte impatto per il brand, impatto che va oltre le vanity metrics. Basta una semplice web analysis per vedere l’aumento delle conversazioni online durante la campagna e, soprattutto, quanto il àsanoebuonochallenge sia stato determinante in ciò.

sanoebuonochallenge

sanoebuonochallenge

Se volete approfonire il tema vi lascio la presentazione che ho realizzato per il WordCamp di Roma 2018 e da cui sono partite le riflessioni per questo post