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Scritto ascoltando: Kenny Loggins – I’m Free (Heaven helps the Man)

Oggi è tempo di confessioni. Sì, quelle private, personali, quasi di sfogo. D’altro canto il blog alle origini era proprio questo, un luogo per sfogarsi. Io AMO il mio lavoro. Penso che leggendomi si sia capito. Certo, come tutte le belle storie d’amore vive di alti e bassi, ma alla fine dopo una “litigata” si torna a casa e si fa la pace.

Non puoi leggere il post? ascoltalo!

 

Ma amore non significa perdonare tutto e comunque, perché quando è cieco non è più un sentimento positivo. Amo il mio lavoro, molto meno certe situazioni che lo accompagnano: l’incertezza, la mancanza di riconoscimento, la scarsa comprensione delle aziende italiane. Cose che riesco a mandare giù (anche se a fatica), ma ce n’è una a cui non riesco ad abituarmi: la pretesa di molte realtà di non riconoscere il giusto valore economico al lavoro creativo.

UN LAVORO È UN LAVORO

Un mantra che si ripete continuamente, all’insegna delle solite frasi fatte “ma tu stai su Facebook tutto il giorno” “tanto ci metti 5 minuti a fare questo” e così di seguito. Passano gli anni, ma tutto ciò sembra non poterci abbandonare.

Eppure si tratta di lavoro e come tale va (andrebbe) trattato.

Non sono nuove campagne di sensibilizzazione in questo senso. Come non ricordare gli ironici video di #coglioneno? Ma pare che, battute a parte siano ormai acqua passata.

Ci pensa ora il nuovo viral di Ready 2 Fly, che in modo sarcastico cerca di far comprendere che anche quello creativo è lavoro. Basta con i preventivi al ribasso, con le fatture non pagate, basta alle consulenze e ai favori a sbaffo.

L’ennesima occasione per provare a dire basta!

LA PAROLA AI PROFESSIONISTI

Un tema comune questo, tanto comune da spingermi a condividerlo e a chiedere pareri ad altri professionisti che di lavoro creativo vivono.

JACOPO PAOLETTI:

Creare è la capacità umana più vicina al divino: in essa vi è la forza di dare forma e sostanza a ciò che prima non c’era. Il lavoro creativo è l’emanazione pratica e concreta di questa essenza. L’asservimento di questo processo alla velocità dei nostri tempi (attribuibile in modo collaterale alla società dell’informazione) e alle odierne esigenze produttive orientate alla compressione dei costi, sta snaturando la “magia” di questa alta forma di concepire il nuovo sulla base di arte e tecnica, creatività e conoscenza, innovazione ed esperienza, portando ad una generale perdita di valore del lavoro, delle persone e della loro professionalità, e ad una conseguente omologazione di prodotti, servizi, processi. Da qui la necessità di riportare al centro l’Uomo e la sua unicità di pensare il futuro in modo sempre nuovo e irripetibile (“creare”, appunto), e attribuire il giusto peso economico a questo processo imprescindibile per plasmare il domani.

FRANCESCO AMBROSINO:

Cosa diavolo significa fare un lavoro creativo? Come si può quantificare e valutare la creatività, in particolare in termini economici? Essere creativi non vuol dire entrare in una stanza durante un briefing, sparare una minchiata e beccarsi l’applausi degli astanti. No, essere creativi vuol dire prendere un storia banale e ordinaria e renderla straordinaria. E le cose straordinarie si pagano, ma ne vale la pena.

CRISTIANO CARRIERO:

La creatività non è un dono. Si esercita ogni giorno, si alimenta, si nutre. Diventa pratica, si trasforma in risultato. La creatività non è un lampo di genio isolato, ha bisogno di un contesto, è concretezza. La creatività cambia lo scenario del business, arriva al cuore e alla pancia delle persone. La creatività vende. A volte ci vuole un minuto a creare qualcosa che fa la differenza. A volte un giorno. A volte una settimana. Ma non fa la differenza. Ciò che conta è che la creatività dà risultati. E per questo si paga.

ROBERTO GEROSA:

Il lavoro creativo e il giusto compenso. Il mio punto di vista è radicale. Prima di parlare di soldi, si deve parlare di rispetto. Recentemente mi è stato chiesto quale sia il mio lavoro. Social Media Manager, per farla breve.
La reazione del mio interlocutore? Ma lo fanno tutti ormai questo lavoro (con aria sprezzante e di sfida). Vuoi conoscere la mia risposta? Eccola: “sì ma come lo faccio io non c’è nessuno.” Potrò sembrarti presuntuoso ma è giunta l’ora di tirare un bel respiro, mantenere l’umiltà e abbandonare la modestia.
Il lavoro creativo, il lavoro nel campo della comunicazione, della scrittura e delle relazioni, prima di essere pagato bene va rispettato come vanno rispettati i lavori tradizionali. Fatti rispettare. Probabilmente ti sentirai dire: tanto, se non vuoi lavorare per me, ne trovo altri che fanno il tuo tipo di lavoro. Tanto, aggiungo io, se io non lavoro per te, trovo altri che appartengono alla tua stessa tipologia di cliente. Lo vuoi sapere che tipo di cliente sei? Se la tua creatività non ti permette di capirlo, dovrai fartelo spiegare dal tuo nuovo creativo. Perché prima o poi anche lui te lo dirà. Così quello che verrà dopo di lui, ecc ecc.

FEDERICO SIMONETTI:

Un creativo è un coraggioso: non ha paura di un foglio bianco, sfida il vuoto e lo trasforma in pieno, davanti a un foglio bianco non vede il panico ma infinite possibilità. Un creativo è dotato di infinita pazienza: resiste quando gli chiedi una scritta più grande, rende sensate le tue frasi sgrammaticate, trasforma in un logo vettoriale quel tuo scarabocchio sfatto col rossetto sul tovagliolo del bar e fotografato col Nokia 3330. Un creativo è preparato: ha studiato molti anni per realizzare quello che per te è solo uno scarabocchio, per raddrizzare le tue frasi sgrammaticate e per fare tutta una serie di cose che, a conti fatti, tu non sai fare. Un creativo è una persona: mangia, beve, dorme e paga le bollette. Se vuoi il suo tempo, non pensare che sia a buon mercato. Perché neanche il tuo dovrebbe esserlo.

LUDOVICA DE LUCA:

Quando penso alla creatività mi piace immaginarla come una di quelle magiche polverine che rendono speciale qualsiasi cosa sulla quale si posano. E lo fa con grazia, con delicatezza, senza invadenza alcuna. Quella invadenza con cui, troppo spesso, riempiamo la nostra bocca della parola creatività. Impropriamente.
Perché fa figo oggi essere creativi. Farà pure figo, ma apportare valore al lavoro con il proprio ingegno, la propria fantasia, il proprio cuore non è di certo semplice. Occorre un mix di istinto, esperienza, competenze, sensibilità, buon senso, emozioni. Già, perché è la creatività che oggi rende unico e personale un lavoro.
E’ la creatività la polverina magica che un professionista sa dosare e applicare nel modo giusto, quella stessa che si fa ammirare e apprezzare da clienti e fruitori. Quella stessa che, oggi più di ieri, rappresenta il prezioso fattore costante eppure variabile (incredibilmente variabile) di molti progetti e prodotti lavorativi e della determinazione del loro compenso.

VALENTINA SALA:

Creatività. Forse a qualcuno sfugge, ma questa parola deriva dal verbo ‘creare’. Generare, dare vita a qualcosa che prima non c’era, o c’era in forma differente. Ti sembra poco? A me no. Non ti illudere, tu che la fai semplice, la creatività non è quello che tu chiami il ‘colpo di genio’ (per essere fine). Non si presenta per caso alla porta del primo che passa e gli consegna nelle mani una bella idea.
Essere creativi è frutto di metodo, esercizio, studio e test. Di fatica e tanto tempo speso nell’allenare tutti i sensi e la mente a quell’atto generativo tanto sottovalutato. Esattamente come fa un idraulico o un commercialista, niente di diverso.
Eh già! La creatività è un lavoro. Puoi ritenerlo effimero e difficilmente spiegabile, ma ha sempre un riscontro nella realtà concreta, altrimenti non staresti qui a leggere. Sai che la creatività oggi è qualcosa che ti aiuta a emergere dal rumore di fondo e a dialogare con i tuoi clienti. Quanto conta per te essere unico, riconoscibile, speciale? Ti sei già risposto. Se tu stesso non dai valore alla componente fondamentale della tua comunicazione, perché qualcuno dovrebbe darlo ai tuoi messaggi e al tuo brand?

UNA RESPONSABILITÀ COMUNE

Diciamolo, noi professionisti e realtà del settore non siamo privi di colpe, spersi tra poca chiarezza, fuffaroli ed un atteggiamento che non sempre aiuta a far comprendere non solo il nostro lavoro, ma ancor più importante il valore dello stesso.

In molti casi poi siamo costretti, ma dire sempre sì non aiuta il settore. Perché crea precedenti, crea una pericolosa corsa al ribasso.

Non arrabbiatevi, non è tutta nostra la colpa, lo so bene, ma un po’di autocritica non guasta. Il cambiamento deve partire anche da noi, perché come dice Marco Montemagno “se ti fai pagare due noccioline diventi una scimmietta”.

Come? Iniziando a non promettere miracoli, ad avere un approccio etico che ci faccia dire NO se serve, a fare meno gli “artisti” e badare, almeno un po’, ai risultati.

Il riconoscimento delle professioni del settore ed un miglioramento delle infrastrutture di connessione sono invece l’aiuto che dovrebbe venire dalle Istituzioni. Le prime purtroppo a non lavorare bene in questo senso e a fare selezione di collaboratori quantomeno strane (vi ricordate very bello?!?).

Alle aziende l’arduo compito di ripensarsi e cominciare un approccio strategico al digitale e alla comunicazione in generale, facendolo diventare risorsa e non solo moda da seguire… E per favore, iniziate a selezionare risorse interne preparate e competenti (vi scongiuro).

Quindi non mortifichiamo ancora questi lavori, non lo meritano. Non lo merita il designer, il grafico, il SMM, il fotografo, non lo merita il cervello e la sensibilità umana, quella che (ancora per poco) ci differenzia dal resto degli abitanti di questo pianeta.