È da qualche giorno che mi trovo a ragionare sul potere (e le conseguenti responsabilità) dei trend e degli algoritmi, cercando di capire quale sia più rilevate o, meglio, cosa condiziona cosa.

Mi verrebbe da dire che la verità sta nel mezzo, ma non ci credo fino in fondo e penso sia difficile dare una risposta definitiva. Posso però dire che il rapporto tra trend e algoritmi è simbiotico: l’uno sostiene e condiziona l’altro, reciprocamente. Due facce della stessa medaglia, una medaglia che si traduce in view e interazioni sulle diverse piattaforme.

Ma torniamo al punto. Da dove nasce questa riflessione e dove voglio portarvi? Il pensiero è nato dopo lo spunto offertomi dalla newsletter di Zio e conseguentemente figlio di alcuni contenuti che ho visto spopolare su TikTok e che per la loro natura non possono che portarmi a ragionare sul tema della collettività e della viralità.

Nino D’angelo 4.0

Sempre TikTok, sì. Non ve lo cito così spesso perché ci tenga a fargli ancora più pubblicità, ma solo perché la sua struttura e le sue dinamiche lo rendono un terreno fertile per sperimentazioni e fenomeni potremo dire “nuovi”, soprattutto se paragonati a Instagram. Le caratteristiche del suo algoritmo “aperto”, volto a diversificare e proporre oltre la propria bolla, evidenziano più facilmente situazioni particolari e, in un certo senso, le sostengono.

Provate ad immaginare come ho reagito quando ho visto e appurato con qualche ricerca come TikTok sia una fucina e driver di fortissima esposizione per la musica neomelodica. Sì, avete letto bene.

Basta qualche giro nei per te per imbattersi in contenuti che rilanciano alcune hit del genere, esempio di come queste siano diventate un trend assolutamente virale in TikTok, sostenuto certo, ma oggi anche spinta stessa alla fruizione coinvolgente dello stesso canale (la simbiosi di cui parlavamo).

Ho litigato con mia moglie, ad esempio. Un pezzo del 1997 che oggi, in cover moderne, è diventata una vera hit, ma ancor più particolare, utilizzata al di là della sua peculiare territorialità, diventando base per meme e clip di tendenza.

Oppure “Si s’accorge e chist’ammore”, un altro pezzo datato (2011) diventato estremamente di tendenza in TikTok, ripreso da influencer come Valeria Vedovatti e Khaby Lame e generando più di 50mila clip.

Affinità = Community = Condivisione = Viralità (forse)

Esempi di cui è interessante comprendere le motivazioni. Da un lato c’è certamente l’estrema semplicità, meglio dire “l’urbanità” di questi testi, ma ancor di più la loro forza comunicativa tipica anche del carattere del sud. Ognuna di questi testi, come diceva Zio, diventa un gesto o, meglio, una mimica da riprodurre. E questo, nella piattaforma delle challenge e delle dance (che ancora vanno, diciamocelo), “fittano” divinamente.

Ma a interessarmi ancora di più è il tema del local pride.

Il neomelodico e le sue apparizioni sui social non possiamo negare come sia chiaramente mezzo per esprimere la propria appartenenza, non tanto le origini, quando l’essere parte di una comunità precisa che condivide valori, espressioni, dinamiche sociali. Community, nulla di più, niente di meno. Un concetto di cui troppo spesso dimentichiamo valore e forza e che in TikTok, soprattutto, sta ritrovando estrema rilevanza.

Una rilevanza tanto forte da evolvere o, meglio, rispolverare un altro concetto chiuso troppo velocemente nel cassetto dei social, quello delle fandom.

Dragotoc è chi Dragotoc fa

Non che le fandom non contino più certo, ma è innegabile come il lento declino di Twitter e l’ascesa, viceversa, di un canale con le caratteristiche di Instagram, molto ego oriented, ne abbia un po’ ridotto il respiro.

Chi ha qualche anno “social” in più ricorderà bene la portata dei dibattiti online tra Directioner, fan degli One Direction, e Belieber, quelli di Justin Bieber. Diatribe online talmente “forti” da portare a situazioni al limite del bullismo. Merito di una piattaforma che favoriva il buzz tematico, dell’attaccamento di questi ragazzi ai loro idoli, certo, ma soprattutto, della coesione e senso di appartenenza che questa passione comune portava con sé.

Un senso comune e un coinvolgimento emotivo che aveva (ed ha ancora) un’influenza decisiva anche nelle decisioni di acquisto e quindi da attenzionare fortemente anche lato brand.

Un valore che era già emerso in diverse analisi, tar cui, senza dubbio, la più interessante è The Power of Fandom.

Ma creare fan è qualcosa di estremamente complesso. Il problema, per le aziende, è proprio questo. Troppo distanti la proposta e le necessità comunicative del brand dalle aspettative degli utenti/fan. L’approccio entertainment è sicuramente un aiuto in tal senso, ma non è sufficiente (ancora).

Diventa quindi decisivo per i brand capire come entrare nelle conversazioni delle fandom con impatto e, soprattutto, avendo il premesso per farlo. Progetti condivisi, capsule collection o i branded content che tanto si stanno diffondendo sono un’ottima risposta, creando sinergia tra marchio e Idol e, successivamente, riverbero sulla fanbase.

Esempi interessanti, in Italia, sono Coca-Cola con Mille o Ghali con l’inserimento di McDonald’s in un suo video. Esempi che però toccano solo la superficie, senza andare realmente all’anima della base fan, innescandole.

Dire da dove iniziare non è facile, ma qualche spunto ce l’ho. Gli NFT e il forte senso al collezionismo delle fandom possono essere un tema interessante, portando l’esclusività di edizione limitate e brandizzate anche online.

Per l’altra torniamo all’inizio, TikTok. Il canale propone margini per lavorare in tal senso, offendo nuovamente a Idol e fan spazio per interagire e dar vita a contenuti verticali. I duetto o l’audio da riutilizzare negli UGC sono solo esempi.

Ma spazio ce n’è. Mi viene in mente il trend dell’anno scorso di Dracotoc, proposto da Tom Felton, l’attore che nella saga di Harry Potter interpretava Draco Malfoy. Una challenge che prevedeva il rifacimento del celebre modo in cui Draco chiamava “Potter” e che ha scatenato una delle fandom più forti, trasversali e senza tempo, quella del maghetto appunto. Un trend che per molti brand sarebbe potuto essere occasione rilevante in cui entrare, ovviamente nel giusto modo.

Fondamentale diventa analizzare canale (e contesti) per trovare queste fandom, ma ancor di più comprendere quelle più affini al brand, valutandone i driver conversazionali. Un’attività simile, in parte, a quella di outreach per gli influencer/creator, ma con un focus maggiore sulle caratteristiche alla base, ovviamente più ampie e ibride essendo la fandom un macrocosmo di pensieri, idee, utenti.