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Scritto ascoltando: Pink Floyd – Money

Non mi stancherò mai di dirlo: l’influencer marketing non è solo fashion, prove prodotto o post paid.  Lo so, ne avete viste troppe per credermi, inondati di pagine che recensirebbero anche la madre pur di ottenere un prodotto gratuito.

Non dovete credermi sulla parola infatti. In questo post vi presenterò alcuni casi di studio che sono certo vi faranno ben comprendere cosa intendo. D’altronde, flessibilità e trasversalità fanno dell’influencer marketing uno strumento che nella mani giuste può davvero fare molto, anche in settori complessi, dove risulta spesso complesso realizzare campagne digital vincenti.

Un esempio? Il settore bancario. Temi complessi e non certo per tutti, una aurea non propriamente brand lover oriented ed un sentiment (ancor più in questi anni) a dir poco negativo ne fanno un segmento in cui risulta quantomeno complicato agire. Ma è proprio in situazioni come queste che la capacità di veicolare trust e di relazionarsi degli influencer acquisisce notevole rilevanza. È solo questione di calibrare bene progetto e figura scelta.

Umanizzare i brand con i micro influencer

 Come detto, il contesto del settore bancario necessità di un approccio diverso, un approccio che eviti troppi tecnicismi legati ai prodotti offerti, le tante implicazioni e problemi legali connessi e soprattutto che cerchi di spostare il focus lontano dal clima di sfiducia che aleggia. Non certo facile da fare, ma possibile.

Una possibile via è quella di affidarsi agli utenti stessi, quelli che io chiamo consumAttori. Influencer dall’audience minima ma dal grado di credibilità fortissimo, capaci, grazie alle loro caratteristiche comuni, di generare fiducia e far sentire gli altri utenti affini a loro.

È questa la forza dei micro influencer, un valore che nel settore bancario diventa ancora più rilevante: umanizzare il brand, mostrando il lato umano che c’è dietro la facciata di brand così istituzionali. Non è tanto questione di quel prodotto e delle sue caratteristiche, l’obiettivo è molto più ambizioso: combattere il diffuso (spesso a priori) sentiment negativo coinvolgendo gli utenti, quelle stesse persone che poi ogni giorno hanno a che fare con gli istituti.

Difficilmente riusciremo ad ottenere risultati lavorando sul campo “bancario”, meglio quindi puntare alla percezione del brand ed al suo miglioramento. Un incremento che poi passerà anche ai prodotti.

Capital One e #everydaymoneyboston

Un esempio in questa direzione è il progetto #everydaymoneyboston promosso da Capital One nella nota città del Massachusetts, incentrato a dare voce all’utilità sociale della banca nella società e nelle comunità locali. Scopo della campagna la condivisione di immagini su Instagram che rappresentassero i cittadini impegnati in cause benefiche.

Un modo originale per spostare l’attenzione su un lato positivo e (troppo spesso) dimenticato del settore bancario, evidenziandone l’utilità sociale e il senso civico e umano. La spontaneità e la trasparenza dei micro influencer impegnati (i cittadini) sono poi il valore aggiunto, elemento che dona verità al progetto, evitando al contempo di farlo sembrare “buonista”.

Per dare slancio alla campagna, slancio necessario in fase iniziale data la bassa audience dei micro influencer, Capital One ha coinvolto l’associazione Igers di Boston. Visibilità e reach necessari a rendere virale #everydaymoneyboston e scatenare il passaparola.

#everydaymoneyboston è anche un originale esempio di come poter comunicare con impatto la Corporate Social Responsibility, elemento essenziale per le company di oggi, ma spesso complesso da trasmettere, soprattutto online. La responsabilità sociale ha l’obiettivo di coinvolgere e creare dialogo con tutti gli stakeholder, dialogo che i social (se ben usati) possono tramutare in realtà.

Qualche dato? Il sentiment positivo medio è passato in pochi mesi da un 12,5% pre campagna ad un 17% e nei topic discussi in connessione al brand sono apparsi numerosi temi legati al sociale. Un cambio piuttosto netto, ben lontano dalla percezione comune del settore.

Un approccio diverso all’influencer marketing: SI PUÒ FARE

Il senso finale del post è proprio questo, un altro influencer marketing è possibile, basta volerlo e lavorare per creare progetti ben fatti e soprattutto strategici. Perché quando si lavora con gli influencer l’unica discriminante (oltre alla corretta scelta di chi coinvolgere) è impegnarsi realmente nel dar vita ad attività capaci realmente di valorizzare le loro qualità e di creare relazioni, grazie alla loro mediazione, con gli utenti.

Non si vive di soli prestiti prodotto, non dimentichiamolo mai.