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Scritto ascoltando: Jaselli – The End

Influencer marketing e trasparenza, un binomio che fa sempre più discutere. Sono tante le discussioni sugli usi spesso limite degli influencer e su un’attività che in molti casi (troppi) è una semplice attività di advertising travestita (male).

Dubbi che hanno fondamento certo, ma che non sono certo risolutivi o portatori di novità. Anche perché come dice il buon Piero (Tagliapietra) le leggi per evitare tutto ciò già ci sono. Basterebbe solamente metterle in pratica.

IL CASO LORD & TAYLOR 

Finché gli influencer sono “retribuiti” con omaggi, inviti, esperienze, non sussiste problema. Ma appena sono pagati la musica cambia… e non di poco.  Sono molti gli stati che vigilano su questo fenomeno. Negli USA la US Federal Trade Commission, associazione finalizzata a regolamentare le pratiche commerciali, ha sollevato più  di un problema sull’uso degli influencer.

Uno degli esempi più conosciuti in tema è rappresentato dal brand di moda Lord & Taylor, che ha lanciato la sua nuova collezione attraverso l’attività degli influencer. 50 influencer con post su Instagram indossando lo stesso abito (che coincidenza). Una casualità non passata inosservata alla FTC che dopo attente indagini ha costretto il brand ad ammettere che gli utenti coinvolti erano retribuiti.

influencer marketing il caso lord & taylor

La FTC ha per quindi annunciato che gli influencer pagati devono utilizzare sempre l’hashtag #ad o #sponsored così da renderli evidenti rispetto a quelli “organici”.

TRASPARENZA? UN’INDAGINE CI RACCONTA A CHE PUNTO SIAMO 

Una recente ricerca effettuata nel Regno Unito sembra però dimostrare che i professionisti del marketing e delle PR digitali faticano a capire la situazione. 6 su 10 ammette di farsi beffe del codice ufficiale relativo all’influencer marketing. Il sondaggio, svolto su 500 professionisti ha stabilito che il 37% aderisce pienamente al codice di condotta PAC, mentre uno su otto persone dichiara di non conoscerlo “a pieno”.

Se non bastasse, più di un terzo degli intervistati ammette di non aderire al codice a causa di una non completa comprensione o della riluttanza ad essere totalmente trasparente sulle proprie campagne. In tutto questo, l’Advertising Standards Authority continua a ribadire che divulgare contenuti a pagamento con finalità commerciali senza dichiararlo è una pratica vietata in base al diritto di protezione dei consumatori.

Una portavoce della ASA ha detto sul tema:

“Our research proves there’s a lot of uncertainty and trepidation about the best way to run campaigns – from the rules of payment to how much creative freedom to offer. The industry has only scratched the surface of the potential that influencer marketing holds but for brands to develop campaigns and make them more effective there needs to be more clarity around the rules of engagement.”

Sono i brand più piccoli ad essere meno trasparenti: il 50% delle imprese con 50-100 dipendenti ammette infatti di non conformarsi pienamente agli orientamenti della PAC. Il dato scende al 20% con realtà più grandi (oltre 500 dipendenti).

La maggior parte dei marketers (73%) si aspetta che bastino prodotti gratuiti per coinvolgere gli influencer, mentre il 19% punta su promesse di future collaborazioni più stabili come leva. La spesa media, per i brand che scelgono la strada della retribuzione,  è di £ 800 per post, con il 12,5% che paga oltre i 1.000 £ per una singola foto. La spesa media totale per campagna è quasi di £ 6,000, per un totale di £ 42.000 all’anno.

Lo studio, promosso da Takumi (app che collega influencer di Instagram ai brand), dà uno spaccato molto interessante sul tema influencer marketing ed utilizzo etico.

L’anno scorso l’ASA ha ribadito di voler dare una stretta sugli usi dubbi, dando linee guida più chiare sull’utilizzo dei vloggers a seguito del divieto di una campagna Oreo che vedeva coinvolti i vlogger Dan e Phil (ovviamente pagati). La risonanza dei due e del brand attirarono più di un controllo.

Interessante l’approccio dell’ASA, che punta non solo su controlli e divieti, ma nel supportare e formare professionisti e agenzie sulle norme ed il loro rispetto. Servirà a rendere più “pulito” l’influencer marketing? Solo il tempo ce lo dirà.