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Scritto ascoltando: Simple Minds – Don’t You (Forget about Me)

Finalmente lo ammetto pubblicamente: io AMO gli anni ’80. Chiamatemi nostalgico, non mi interessa. Sono cresciuto con i salti di Supercar, le macchine digitali di Automan e la pelle mutante (beh, non un bel vedere) di Manimal. Ero piccolo in quel periodo, ma tanto è bastato per convincermi che bastasse McGyver o Pessimo Elemento Barracus in un’autofficina per risolvere ogni problema.

Qualche giorno fa mi è capitato di vedere un film pilastro di quegli anni, citato continuamente in serie ed altre pellicole: The Breakfast Club. Il film, pietra miliare per molti, racconta la convivenza forzata in un pomeriggio di punizione scolastica tra 5 teenager stereotipati: lo sportivo, il secchione, il teppista, la figlia di buona famiglia e la ragazza dark-problematica, usati come modelli dei ragazzi di quegli anni, manifesto dei loro sogni, ideali, pensieri.

Ripensandoci qualche ora dopo non ho potuto non pensare a come questi modelli, assolutamente stereotipati, fossero così attuali anche oggi e che rappresentassero perfettamente gli influencer con cui tutti i giorni ci ritroviamo a convivere tra social e web. Una similitudine troppo divertente per non scriverci un post.

Lo sportivo

Il più seguito e ammirato grazie al suo aspetto impeccabile, affascinante. Ha un grande seguito che lo adora e su cui esercita una forte influenza. Molto del suo successo è racchiuso nella sua immagine, nell’apparenza che riesce a far percepire agli utenti, convincendoli delle sue, presunte o reali conta poco, qualità.

I brand lo adorano per la visibilità che offre e per l’immaginario che ha attorno, ma soprattutto perché (finti o reali poco importa) ha stuole di follower, avvicinando o superando i fatidici 100k tanto bramati dalle aziende.

Competenze e know-how sono spesso quel che sono, ma non è cosa tanto rilevante. Inutile, quindi? Affatto. Risulta perfetto per obiettivi legati a visibilità e awareness. Il suo essere influencer professionista è spesso poi un aiuto in fase di collaborazione, proponendo un team e un atteggiamento davvero professionali.

Attenti a non farlo arrabbiare, è suscettibile e molto forte, portandoci a rischiare vere e proprie crisi reputazionali.

Il secchione

Andiamo agli antipodi dello sportivo. L’influencer secchione fa della competenza e dell’autorevolezza il suo elemento di forza. Per questo lavora assiduamente con attività di content, sfruttando diversi canali (blog e social) e metodologie (post, ebook, podcast). Una manna per i brand che desiderano puntare sulle potenzialità del contenuto, generando reputazione e dimostrando la loro competenza sul campo. Il secchione è quindi perfetto per realizzare lead generation e migliorare attraverso la sua esperienza i prodotti dell’azienda.

Spesso ha audience rilevanti, ma non è mai la caratteristica più importante. A fare la differenza è la sua capacità di proporre materiale utile agli utenti, rispondendo alle loro necessità e fidelizzando tramite la forza delle relazioni.

Know-how non fa sempre rima con carisma: attenti quindi alle capacità comunicative. Bucare lo schermo non è certo un suo punto forte. Attività che spingono troppo sulla visibilità possono non dare i risultati sperati.

Il teppista

Una categoria borderline, soprattutto lato marketing. È un influencer che non le manda certo a dire, sempre arrabbiato con tutto e tutti. Spara sentenze, spesso al limite dell’offesa, ma è proprio questa sua spontaneità, questo gridare al mondo che lo rende tanto interessante per gli utenti. La diatriba dialettica è il suo pane quotidiano, arte in cui eccelle senza colpo ferire.

Lui della reputazione se ne frega. Elemento che ne sottolinea il coraggio, ma che spaventa marketer e aziende.È quindi una categoria che non può essere coinvolta in progetti? La testa direbbe NO, il cuore lancia un sì. Non lo nascondo, è difficile coinvolgerlo in modo strategico, ma non impossibile. L’elemento essenziale è che deve essere legato all’obiettivo e al progetto che vogliamo realizzare. Se è realmente coinvolto può non solo essere utile, ma fare la differenza.

La ragazza di buona famiglia

Bon ton, stile ed eleganza: ecco le armi con cui questo influencer (per lo più del gentil sesso) fa breccia. Per lo più legata a temi quali fashion, lifestyle, design e tutto ciò che è trendy e di moda. Il suo mondo (o almeno quello che ci mostra) sembra lontano anni luce dal nostro, tra viaggi, locali alla moda ed eventi mondani. Non è questione di competenza o visibilità quanto di appartenenza.

Ha quasi sempre un blog, ma è su Instagram che ha trovato il luogo ideale per raccontare e raccontarsi. Il racconto visivo è infatti il suo modo di esprimersi.

La sua forza è evocare una realtà lontana dall’ordinario, una realtà che sorprende, ammalia. Una forza che spesso può anche essere limite, facendola risultare distante (troppo) dagli utenti. Non tutti i progetti sono quindi adeguati a lei.

La ragazza dark

L’utente che nonostante seguito e attenzione decide di restare nell’ombra, continuando però a scrivere e pubblicare sui propri canali. La sua presenza è quindi tangibile, ma mai ostentata, orientata più a valorizzare più il cosa che il chi. Una razza rara in un mondo che tende ad autoesaltarsi nella convinzione del personal branding a tutti i costi.

La dark, invece, fa del suo quasi-anonimato un tratto distintivo, affascinando gli utenti incuriositi di sapere sempre di più su di lei. Un voyeurismo che seduce e, spesso, influenza. A parlare ci pensano i suoi contenuti, nella maggior parte dei casi protagonisti indiscussi della sua presenza online.

Un approccio content-oriented che è sì pro brand, ma che risulta spesso limitato. La forza dei progetti con gli influencer sta proprio nel loro “metterci la faccia” che rende le comunicazioni più autentiche, credibili. Essenziale diventa quindi la capacità dell’influencer di trasformare il suo alter ego online in una figura riconoscibile e autentica. Senza questo passaggio è difficile che possano diventare valore aggiunto per le aziende.