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Scritto ascoltando: Pink Floyd – Brain Damage

Parlavo in uno degli ultimi post dell’importanza e delle opportunità legate agli hashtag. Crossmedialità, engagement, coinvolgimento degli utenti: una risorsa le parole precedute da # a cui nessuna campagna digital può rinunciare. Ma come ogni strumento a fare la differenza non è tanto l’utilizzarli, quanto il come vengono utilizzati.

Troppo spesso assistiamo infatti a campagne caratterizzate da hashtag quantomeno discutibili, incapaci non solo di sfruttarne appieno le potenzialità, ma in certi casi di generare buzz negativo per il brand. Eh sì, tanto diventano volano in positivo, quanto gli hashtag possono divenire veri boomerang, boomerang che con la viralità dei social e del web danno vita a situazioni di reale crisi.

Un danno al brand ed alla sua web reputation, un valore intangibili ma ormai troppo importante nel mercato odierno.

CGIL E #TUTOGLIIOINCLUDO

Partiamo dal presupposto che sono rimasto illuminato dal fatto che una realtà come la Cgil abbia finalmente compreso l’importanza dei social e abbia addirittura impostato su essi la campagna di comunicazione per la manifestazione del 25 Ottobre a  Firenze. Davvero. Con un ritardo forse abissale, ma infondo non si dice meglio tardi che mai?!? Beh, certo si poteva cominciare meglio….

cgil

Non ci vuole un esperto di comunicazione per capire ad una prima occhiata quanto sia poco funzionale e ancor meno utilizzabile qualcosa come #tutoglioincludo. Avete letto benissimo, quello scritto non è un esercizio di un corso di logopedia, ma l’hashtag scelto dalla Cgil. Al di là della poca attenzione per l’ “estetica” (fa lo stesso effetto di uno scioglilingua) e della sua estrema complessità sul piano della lettura e della comprensione (deficit gravissimi dato che stiamo parlando di comunicazione), non riconduce minimamente all’evento che promuove, al significato intrinseco di questo. Un insieme di lettere “vuoto”.

Contorto, lungo, difficile, capace per lo più di creare situazioni equivoche e doppi sensi al limite del cattivo gusto. Doppi sensi ed equivoci che non sono passati di certo inosservati sui principali social, generando una serie di tweet e commnenti corrosivi.

 

Questi sono solo alcuni esempi che però fanno capire l’insuccesso di #tutogliioincludo, capace di tramutare una campagna così seria in una sorta di barzelletta da social, di indebolire la reputazione online della manifestazione e della Cgil stessa.

NUVENIA E #ROLLAPRESSAVIA
Cambia il brand e la tematica, ma resta l’incomprensibile stupore di come possa essere stato “approvato” un hashtag del genere, e la conseguente domanda: perché?!?  

#RollaPressaVia, l’hashtag scelto da Nuvenia per il lancio del suo ultimo prodotto. No tranquilli, la nota azienda di assorbenti intimi non si è lanciata nel commercio di stupefacenti, ma il richiamo a Bob Marley e la Giamaica è comunque forte leggendo i commenti degli utenti.

Rispetto al caso della Cgil il legame con il soggetto del messaggio è più forte (la nuova tecnologia che sigilla igienicamente l’assorbente), ma è assente l’attenzione verso possibili equivoci ed utilizzi ironici del’hashtag. La viralità funziona molto meglio nel male…

Gli errori capitano (anche ai più bravi) quando si lavora e le capacità di un team si vedono soprattutto quando bisogna gettare acqua sul fuoco. Nuvenia si merita un bravo nel aver compreso immediatamente la potenziale crisi ed evitato ulteriori utilizzi di #RollaPressaVia (errare è umano perseverare diabolico).

L’HASHTAG PERFETTO

Ma quali sono le caratteristiche che deve avere un hashtag per essere davvero performante?

La scelta di un hashtag è un processo strategico che necessità, come qualsiasi altra attività di comunicazione, di un’attenta fase di analisi. Necessario innanzitutto comprendere: qual è l’obiettivo della campagna? Lo scopo dell’hashtag? A chi mi voglio rivolgere? Poche fondamentali domande che però possono aiutarci a fare la scelta giusta.

Sulla base della mia esperienza pratica ecco alcuni consigli:

  • FALLO UNICO: un hahstag non ha proprietà, ma studiato bene può essere “vostro”. Quando ne scegliete uno controllate non sia già utilizzato ed evitate quelli che possono essere confusi con altri già presenti o ricordare campagne o brand diversi
  • FALLO “IN TEMA”: un hashtag deve raccontare le sfumature di ciò che comunica, trasmettendo (anche solo in parte) il significato di ciò che deve comunicare.
  • FALLO SEMPLICE: semplice che non significa per forza corto. Deve essere leggibile, facile da ricordare e soprattutto comprensibile da tutti. Solo così sarete sicuri venga utilizzato e si diffonda.
  • FALLO CHE “CONTENGA”: attraverso l’hashtag devono potersi raccogliere contenuti su una particolare tematica. Come una sorta di etichetta, capace di convogliare una serie di contenuti di diversa natura, ma comunque connessi
  • FALLO CROSSMEDIALE: in una odierna logica di contaminazione dei media, gli hashtag diventano strumenti unici per fare da filo conduttore ad una campagna articolata su media diversi
  • FALLO CHE AMMICCHI: un hashtag deve conquistare i potenziali utenti, invogliandoli ad utilizzarlo. Simpatico, brillante che richiami (ma molto moderatamente) qualche innoccuo doppio senso: fate in modo che non passi inosservato.
  • FALLO CHE PARLI AL TUO TARGET: l’Hashtag è uno strumento di comunicazione e come tale utile a trasmettere il tuo messaggio al tuo potenziale target. Proprio per questo è importante che sia “vicino” agli utenti che vuoi raggiungere e da essi comprensibile. È inutile richiamare un termine di slang giovanile se il vostro pubblico è over 40 per esempio… seppur una parola diffusissima ed in voga state certi che non centrerete l’obiettivo!